La mia prima passe

Viaggiando verso Ovest
Giuseppe Tuttobene
Mon 31 May 2010 21:33
15:5.62S 145:03.58W
Come sicuramente molti di voi sanno già, l'arcipelago
delle Tuamutu, detto anche arcipelago pericoloso, è formato da atolli. Un atollo
è una formazione corallina, più o meno circolare che delimita una laguna.
L'anello corallino talvolta è continuo e pertanto la laguna che esso delimita
non è accessibile via mare, altre volte ha delle discontinuità, chiamate passes,
che permettono l'ingresso al suo interno. Il diametro di Kauehi, l'atollo in cui
siamo adesso , è di dieci miglia, la passe è larga 200 metri e la profondità
massima nella passe è di 10 metri: sembrerebbero un passaggio abbastanza largo e
una profondità nettamente superiore al pescaggio di Chloe.
Il problema per il povero navigatore è che esistono le
maree, che per fortuna da queste parti non sono cospicue e che generlmente non
superano il metro. Se proviamo a fare quattro calcoletti ci rendiamo conto
della enorme quantità di acqua che passa avanti e indietro ad ogni cambio
di marea. Poniamo il caso di Kauhei: il diametro è 10 miglia quindi un po' più
di 18 km, la marea è di 50 centimetri, quindi attraverso la passe nelle varie
fasi della marea transita ogni sei ore una quantità di acqua pari a 18.000 al
quadrato per 3,14 per 0,5, cioè 324 milioni di metri cubi di acqua.
Riuscite ad immaginare con quale velocità?
Tavole di marea, due programmi comprendenti le
maree mondiali, le conoscenze della teoria, tutto per programmare il passaggio
nell'ora di stanca, nell'ora in cui cioè la corrente cambia di direzione e
quindi la sua velocità è quasi nulla.
Di contro il pomeriggio inoltrato e la voglia di
entrare.
Fatto sta che puntavo come per entrare nella passe
sempre pronto a invertire la rotta se le condizioni diventavano "trubole", per
questo mantenevo una certa scorta di potenza motore e non procedevo a regime
sostenuto.
Davanti si distingueva chiaramente, su un mare
appena mosso, come una barriera increspata e bianca, abbastanza ben
delimitata, a cui man mano che esploravo, mi trovavo sempre più vicino fino ad
esserne dentro.
In piedi sulla panca del timoniere, con la ruota
vistosamente al di sotto di me, scrutavo da una posizione più alta i limiti
delle aree nvigabili. Avevo già disinserito il pilota automatico quindi per
intervenre sulla ruota dovevo inchinarmi. Mi rendevo conto che i miei inteventi
sul timone, dapprima piccoli e sporadici, divenivano sempre più ampi e sempre
più frequenti. Mi sono trovato, sempre sulla panca del timoniere, con le
gambe molto allargate quasi totalmente flesse e con le braccia
che agivano velocemente sulla ruota nel tentativo di mantenere in rotta una
barca che sembrava voler prendere delle direzioni poco convenienti.
Cesare era a prua con i suoi polaroid a evidenziarmi
qualche cosa di anomalo che mi fosse sfuggito; per spirito di
collaborazione anche Paul era di vedetta a prua, Peppe e Mario avevano uno
spirito più vacanziero e si spostavano da prua mezza barca scattando foto a quel
soggetto così insolito.
Ero lì con la tensione di sentire sotto di me un
mezzo che rispondeva male ai comandi nonostante il mio impegno e con le braccia
che cominciavano ad avvertire la fatica, quando, forse impressionato per la
situazione, vedo Peppe corricchiare verso poppa e ripararsi in una zona che gli
dava più conforto, il pozzetto. Proprio davanti gli strumenti , si era messo!
Urlo mio feroce e lui, Peppe, si acquatta, cagone, in un angolino.
Il log segnava 6 nodi e mezzo, mentre il GPS, che indica
la velocità al suolo, indicava un nodo e mezzo: quindi avevamo 5 nodi di
corrente contraria, esattamente quello che avevamo cercato di evitare
con lo studio delle tavole di marea!
A quella velocità è stato un passaggio
interminabile.
Quando ci siamo sentiti dentro ci siamo
abbracciati.
Giuseppe
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